La Vicina di Casa Qualche anno fa abitavo in un piccolo condominio con due soli appartamenti: l’altro era occupato da una signora di 65 anni, rimasta vedova non da molto, di nome Caterina, ma che si faceva chiamare da tutti Rina. Era una signora estremamente giovanile e ancora attraente nonostante l’età. Alta e magra, dal portamento elegante e il viso ancora molto bello, con acconciatura bionda naturale mossa abbastanza corta, qualche ruga che accresceva il fascino e le guance rotonde. Insomma: una signora che portava molto, molto bene la sua età, ma nulla di più.......invece..... Una sera rientravo dal garage e, passando davanti alla porta della cantina della mia condomina vi gettai un’occhiata: Rina era di spalle alla porta che riordinava il posto, vestita normalmente, portava tuttavia un paio di scarpe nere chiuse con un bel tacco di dieci centimetri. Venni ipnotizzato dai movimenti delle gambe fasciate in collant scuri, gambe molto belle: snelle, nervose e muscolose. Non avevo mai notato che possedesse un paio di gambe così sensuali. Soprattutto erano del tutto inappropriate su una sessantacinquenne. Rimasi parecchio a guardarla, e alla fine mi sorpresi ancora di più, perché ripose una cassa di acqua minerale del peso di almeno trenta chili sollevandola tranquillamente sopra la testa, senza sforzo apparente. A quel punto si girò e mi scorse, salutandomi. "Buonasera, Rina." Mi riscossi. Notando il mio evidente imbarazzo, fece un sorriso malizioso e disse "Sono ancora discretamente in forma per una anziana come me, eh?" Mi venne da sprofondare. Evidentemente aveva capito che l’avevo osservata fino allora. "Anziana non direi proprio" risposi. Trafficando con del materiale lei sorrise e disse: "Tutto merito degli allenamenti." "Allenamenti?" "Sì, per sostenere le mie capacità di autodifesa personale. Sono maestra di parecchie arti marziali. Sai, una donna sola come me deve pur imparare a difendersi dai malintenzionati" Pensai che mi prendesse in giro. "Sai, potrei battere facilmente anche te, nonostante tu sia più grosso e più alto" Mi lanciò un’occhiata. Mi accorsi che non scherzava affatto. Stavolta fui io a sorridere. Lei probabilmente se ne accorse. "Sul serio. Una sera dovremmo organizzare un match. So che anche tu sei stato sul ring. Dimmi tu lo stile di combattimento." In effetti ero stato un discreto praticante di boxe tailandese, ma avevo smesso da qualche tempo. Non so cosa mi spinse ad accettare. Forse la curiosità di vedere Rina con addosso solo la tenuta da combattimento. "Facciamo boxe tailandese...." Dissi. "Perfetto. Dammi tempo di recuperare l’attrezzatura. Domani sera vieni da me. Ho un piccolo ring in casa". Sbalordito, mi avviai a casa. La sera dopo all’ora convenuta suonavo al campanello di Rina. Mi aprì il figlio, che mi informò che avrebbe fatto da arbitro. Senza dire nulla entrai in bagno e mi cambiai. Quando uscii mi condusse in una stanza in cui era stato montato un ring quasi regolamentare. Prima di salire il figlio mi prese per un braccio e mi disse: "Stai attento, quando combatte mamma non guarda in faccia nessuno. Se sei sconfitto non rimanere su per forza. Non c’è disonore nel dichiararsi sconfitto. Mamma è molto forte". Il mio sbalordimento aumentò ancora. Ero al mio angolo quando entrò Rina perfettamente equipaggiata per l’incontro. Confesso che mi si mozzò il fiato e il cuore mi balzò in gola. Indossava un completo dorato consistente in un paio di mini shorts molto sotto l’ ombelico e molto scosciati, più un reggiseno imbottito dello stesso colore che scoprivano il fisico esplosivo. Alta e slanciata, le belle gambe molto lunghe, un addome piatto e roccioso, petto, schiena e fianchi costituiti da muscoli lunghi e definiti dall’aspetto durissimo, e braccia all’altezza del resto. Un paio di laccetti neri dividevano il muscolo della spalla dal bicipite, definendolo ancora di più nella sua lunghezza, massa e durezza. Insomma, un metro e settanta per 55 kg di muscoli d’acciaio. Un fisico che avrebbe fatto l’invidia di una atleta venticinquenne. Lo sguardo aveva perso qualsiasi ombra di cordialità, e vidi che era tutta tesa a sopraffare il rivale. Capii che sarebbe stato un incontro durissimo. Il figlio ci chiamò al centro per il saluto e lei mi scoccò un’occhiata intimidatoria. L’arbitro diede il via, e subito capii che non era per nulla una dilettante. Teneva il ring con sicurezza e sembrava perfettamente padrona della tecnica. Scoccò un paio di calci che si infransero sulla mia difesa, e che avrebbero fatto male se avessero colpito una zona vulnerabile. Ai miei tempi il mio punto di forza erano i pugni, mentre con le gambe non ero molto abile. Accorciai la distanza e la attaccai coi pugni. Non solo la sua difesa non si scompose neanche un po’, ma cominciò a piazzare ginocchiate e calcetti precisi ai miei fianchi e alle mie cosce. Niente di devastante, ma i colpi si sentivano. Continuai così per un po’, ma mi accorsi che non sortivo effetto, mentre lei continuava a tartassarmi i fianchi. Decisi di distanziarmi e attendere. Se avessi continuato forse non sarebbe finita come poi è finita. Magari avrei perso, ma non così seccamente. Ma in quel momento non lo sapevo. Lei prese l’iniziativa e il centro del ring, cominciando ad esplodere calci potenti e precisi al torace e alle gambe. Sebbene i primi mi lasciassero qualche livido sugli avambracci li reggevo. Sulle gambe non avevo né la capacità né il modo di difendermi. Con uno stile da manuale, il dorso dei suoi piedi colpiva violentemente i miei quadricipiti femorali con uno schianto secco, facendoli vibrare penosamente e togliendomi pian piano mobilità. Il primo round finì e io ebbi appena il tempo di riprendere fiato sulle mie gambe già malferme che ricominciò il martellamento e la demolizione delle mie gambe. Tentai una reazione con le gambe, ma peggiorai la situazione. Dopo un’ attacco a vuoto da parte mia un potentissimo calcio di Rina mi colpì di nuovo al quadricipite, costringendomi sulle ginocchia. Mi rialzai, ma cominciavo ad essere a corto di fiato e la mobilità era ridottissima. Rina se ne accorse e ricominciò coi calci: una vera e propria gragnola di colpi che si schiantava su tutto il corpo massacrandomi, e mi toglieva fiato, durezza dei muscoli, e faceva dolere terribilmente braccia e gambe. Arrivai al tempo di sospensione per pura grazia ricevuta e totalmente passivo. Ero stravolto e affaticatissimo. Al terzo round Rina cominciò ad usare i pugni e avrei potuto colpirla, ma ormai ero stremato e devastato. La vista cominciava ad annebbiarsi e traballavo penosamente. Un destro di Rina mi colpì al torace come se fosse stato un maglio da fonderia. Il dolore quasi mi sopraffece....non avevo mai subito nulla del genere. Mi riparai al costato e immediatamente lei mi fulminò con un sinistro al mento. Mi appoggiai alle corde. Un calcio spazzò definitivamente via la difesa delle mie braccia martoriate e lei cominciò ad esplodere pugni al volto senza difesa. Delle martellate potentissime si abbattevano su di me senza soluzione di continuità, mentre la mia testa andava da una parte all’altra come la "pera" del punching-ball. Alla fine un diretto mi prese in pieno volto e mi ruppe il setto nasale. Sentii un dolore insopportabile. Ero totalmente alla mercè di Rina. In un istante brevissimo ma che a me sembrò un’eternità lei ruotò il busto facendo compiere alla sua gamba un arco fantastico, poi il suo piede con le unghie laccate di argento si schiantò contro la mia arcata dentale destra con potenza devastante, frantumandola. La violenza del colpo mi proiettò oltre le corde e caddi dal ring, sputando sangue. Mentre la vista si arrossava, feci in tempo a sentire il selvaggio urlo di vittoria di Rina, poi persi conoscenza. Mi svegliai sentendo con la lingua la mancanza dei denti a destra, il dolore terribile al naso e a tutto il corpo, ricoperto di lividi e di ecchimosi. Ero seduto e qualcuno mi teneva una borsa del ghiaccio da qualche parte. Sentii due voci, una di Rina e l’altra di suo figlio. Aprii gli occhi. Rina era vestita normalmente e mi teneva la borsa del ghiaccio. Sentii suo figlio dirle: "Dovevi proprio ridurlo così?". Io mi riscossi, e baciai la mano a quella stupenda sessantacinquenne che aveva impiegato meno di tre round per demolirmi. Lei sorrise e lanciò un’occhiata compiaciuta a suo figlio che rivolse gli occhi al cielo scuotendo la testa. Il pronto soccorso accertò la perdita di tredici denti, la rottura del setto nasale e l’incrinatura di quattro costole oltre a lividi ed ematomi vari. Da quel giorno Rina mi prese ancora più in simpatia comportandosi come una specie di nonna. Io grazie a lei andavo per il mondo con un’umiltà mai imparata prima, oltre che con una arcata di denti ricostruita.